A noi Gramellini, ai gobbi Mughini!!! :lol: :lol:
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12 giugno 2006
CI AVEVANO SPIEGATO CHE IL CALCIO DEL DUEMILA SI NUTRE DI MARCHI PUBBLICITARI, DIRITTI TELEVISIVI, ALLENAMENTI SCIENTIFICI E LUNGHISSIME PROGRAMMAZIONI. IL TORO CI HA DIMOSTRATO CHE NON àˆ COSàŒ
Capitan Valentino, puoi essere orgoglioso di noi
di Massimo Gramellini
CARO capitan Valentino,
ti scrivo come d'accordo per relazionarti sugli eventi straordinari di cui sono stato testimone oculare ieri sera, mentre tu, Meroni, Ferrini e una schiera di angeli granata lunga un secolo smanettavate sulla radiolina, dato che lassù la tv a pagamento non si prende, altrimenti che paradiso sarebbe. Ti scrivo anche perché non ho più voce, l'ho persa tutta alla fine del primo tempo quando Rosina ha calciato in rete il rigore più lento della storia e ogni rotolio del pallone era una figura di rock'n'roll che mi ballava nello stomaco.
Vengo subito al dunque. La traversata nel deserto è finita e il nostro Toro festeggerà il Centenario in serie A con la speranza legittima che si tratti di un trasloco definitivo. E' stata una serata difficile da raccontare e impossibile da dimenticare. Fin dal primo istante il pubblico ha incendiato i garretti dei propri giocatori, accogliendoli con una coreografia maestosa di migliaia di vessilli granata e bianchi, mentre gli striscioni contenevano tutti lo stesso ordine: travolgeteli.
Il Toro ha provato subito a obbedire, ma il Mantova concedeva pochi spazi, incitato senza sosta da un manipolo di tifosi che il clima sfavorevole contribuiva a esaltare. De Biasi ha azzeccato la formazione, proponendo Rosina e Lazetic sulle ali per aggirare i giganti della difesa avversaria. Cairo ha sfidato la scaramanzia con un giro di campo trionfale prima dell'incontro e poi rinunciando alla solita poltroncina di tribuna per guardare la partita dalla panca come il suo omologo mantovano, fischiatissimo. Finalmente tre giocatori del Toro cadevano in area e Farina concedeva il rigore che Rosina ha trasformato al rallentatore. Mezza rimonta era fatta. Nella ripresa il Toro caricava sotto la Maratona in delirio e dopo un paio di mischie si materializzava il sogno: Rosina calciava un corner da maestro, Abbruscato saltava a vuoto, ma alle sue spalle spuntava il piedino benedetto di Muzzi. Quel che è successo dopo non lo so, perché qualcuno mi ha sollevato per le ascelle e un urlo spaventoso ma bello ha squarciato la notte del Toro. Ho visto la Maratona cadere in campo e ho capito che stavamo andando in serie A. Con le regole in uso nelle coppe, il 2 a 0 avrebbe chiuso la sfida in virtù dei due gol segnati a Mantova. Invece ci è toccato sperimentare per il secondo anno di fila il regolamento dei playoff: altri 30 minuti di sofferenza. Il tempo, che prima del raddoppio correva come un ghepardo, ha cominciato a passeggiare peggio di una tartaruga. Finché il terzino Nicola è saltato in mezzo all'area del Mantova e ha schiacciato un pallone che i guanti dell'ottimo Brivio non sono riusciti a trattenere. E lì, capitano, siamo esplosi un po' tutti, a cominciare dal mio vicino Camolese, l'allenatore dell'ultima promozione, che stringeva i pugni verso il cielo come se fosse in panchina. Sembrava finita, ma naturalmente non lo era: Fantini si è fatto espellere, poi Melara è planato su un mantovano regalandogli il terzo rigore in quatto giorni. Ma il 3 a 1 ci bastava. E, dopo altri oceani di angoscia, ci è bastato.
Ti saresti emozionato, capitano, nel vedere sugli spalti i figli e i nipoti della tua gente, stretti come un pugno intorno all'utopia di una rimonta avventurosa. Sessantamila voci che vibravano all'unisono nell'eterno grido di battaglia, «To-ro» «To-ro», sessantamila storie che si erano date appuntamento per l'ultima volta in uno stadio mai amato per ricordare innanzitutto a se stesse di rappresentare qualcosa che nel calcio d'oggi e di Moggi sembrava non potesse esistere più: una comunità .
Nessuno più di te sa che la storia del Toro disdegna i battiti regolari del cuore e oscilla di continuo fra favola e incubo. Ebbene, l'incubo dell'estate scorsa ha partorito la favola più bella. Quella di una tifoseria, di una società e di una squadra sopravvissute alla morte e nuovamente alleate in un blocco compatto, che lanciano una sfida impossibile alle regole della modernità , uscendone vittoriose. Ci avevano spiegato che il calcio del Duemila si nutre di marchi pubblicitari, diritti televisivi, allenamenti scientifici e lunghissime programmazioni. Ma il Toro che ieri sera si è affacciato dal sottopassaggio per la battaglia finale è cresciuto a partire da un gruppetto di calciatori che si ritrovò alla fine di agosto senza avere in comune neppure il colore della tuta, con un acquedotto municipale per sponsor, la preparazione estiva saltata e un futuro dipinto di buio. Quando all'inizio di settembre arrivarono Cairo e De Biasi, dovettero rimpolpare la rosa in dieci giorni e mandarla subito in campo per la prima partita di campionato contro l'Albinoleffe. Da allora è stata una rincorsa continua alla normalità : mai raggiunta del tutto, per fortuna. Dopo ogni luogo comune abbattuto, il Toro scopriva di essere più temprato, più forte e soprattutto meno solo. Intorno a lui stava tornando a crescere l'affetto torrido del suo popolo, finalmente libero di esprimere il proprio attaccamento al simbolo del cuore senza la foresta di pregiudizi cresciuta in un quindicennio di presidenze orripilanti.
Quel popolo si era già radunato per le strade di Torino tre anni prima, nel giorno della retrocessione più umiliante, che per molti gufi e alcuni pupari avrebbe dovuto rappresentare il preludio all'estinzione. La marcia dell'orgoglio fu il suo modo di gridare ai padroni del vapore che i tifosi del Toro non si sarebbero mai uniformati a un sistema che voleva cancellare le identità e ridurre il grande calcio a una parata milionaria di pochi club. La comunità dei Tremendisti tornò a incontrarsi allo stadio il giugno scorso, in occasione dello spareggio contro il Perugia, credendo fosse quello buono per tornare in serie A, salvo scoprire durante un'estate da horror che era servito a evitare la C. Quella sera il cuore di ogni granata era ancora spaccato in due: soffriva per la bandiera, ma disprezzava la dirigenza. Andare allo stadio per tifare la squadra di Cimminelli richiese comunque più stomaco che coraggio: il Toro aveva vinto la prima partita, in fondo si trattava di una festa annunciata. E' vero che dai tempi del pareggio-scudetto contro il Cesena, noi le feste annunciate abbiamo un talento speciale nel provare a rovinarcele e non ci smentimmo neanche quella volta. Ma credimi, capitano, per uscire di casa ieri sera occorreva una dose supplementare di incoscienza. Ciascuno di noi, nello scendere le scale del proprio appartamento con una sfilza di gesti scaramantici raddoppiata nella circostanza, sapeva molto bene che esistevano alte probabilità di risalirle qualche ora dopo con l'umore sotto i talloni e la prospettiva di un'altra estate alla finestra, affacciati sulle disgrazie altrui. Però le abbiamo scese lo stesso, quelle scale. Perché erano l'unico sentiero possibile per arrampicarsi fino al paradiso. E poi tu sai quanto siamo viziati, in fatto di emozioni. Ci piace vivere in rimonta. Prendi il tuo Toro: vinse cento e cento partite, ma quando mio padre me ne voleva raccontare una, era sempre di un certo Torino-Lazio che mi parlava, con i biancazzurri avanti di tre gol, tu che finalmente ti scocci, arrotoli le maniche granata fino ai gomiti e gridi «Alé!», la tromba che suona la carica, la folla che romba «To-ro To-ro» e non ce n'è più per nessuno: una due tre quattro reti in un quarto d'ora, quasi come nel derby ribaltato in tre minuti, o in quello nobilitato dagli scavi di Maspero.
Capitan Valentino, dopo tanto tempo puoi di nuovo andare orgoglioso di noi. E, per favore, dì a mio padre che la smetta di fare finta che non sia successo niente, tanto lo so che sulle guance gli è spuntato l'arcobaleno. Prenda esempio dallo zio, che starà già sventolando il suo bandierone granata in faccia a qualche sparuto cherubino in pigiama. A proposito: lo sapete che il Toro morto e risorto potrebbe ritrovarsi unica squadra di Torino in serie A? Ma questa è un'altra storia, te la racconto la prossima volta...